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Spesso si sente parlare di indice glicemico di un alimento, ma chi di voi sa cosa significa? E soprattutto a che cosa serve?
La glicemia
Facciamo un passo indietro, iniziamo parlando di glicemia: con questo termine si indica la concentrazione del glucosio (lo zucchero circolante) nel sangue, misurato in mg/dl: i valori di norma, a digiuno, sono compresi tra 60 e 110 mg/dl.
Alcune condizioni patologiche sono diagnosticate da valori alterati della glicemia, misurata in diversi momenti della giornata: si parla infatti di alterata glicemia a digiuno (IFG), di intolleranza glicidica (IGT) o di diabete mellito, di tipo 1 o di tipo 2.
Perché monitorarla
Per questi pazienti in particolare, ma anche per chi vuole semplicemente perdere peso, mantenere dei livelli di glucosio ematico adeguati è molto importante: nel primo caso è fondamentale un controllo, per esempio nei pazienti che assumono l’insulina in terapia, affinchè la dose di farmaco somministrato possa essere adeguata alla necessità. Nel secondo caso è ormai noto come un’assunzione eccessiva di carboidrati possa portare ad un aumento di peso: fisiologicamente, i carboidrati assorbiti dall’intestino stimolano la secrezione dell’insulina, un ormone prodotto dal pancreas.
L’insulina
L’insulina, una volta in circolo, agisce a livello dei tessuti sensibili. Nei tessuti muscolari ed epatico permette l’accumulo del glucosio sotto forma di glicogeno, mentre, nel tessuto adiposo il glucosio è trasformato in glicerolo, composto alla base della lipogenesi (sintesi di grasso).
Data la stretta correlazione metabolica tra glicemia, insulina ed incremento ponderale, è ora più facile capire perché si parla di indice glicemico. Non è l’unico termine che ha senso approfondire: parleremo anche di carico glicemico, di indice insulinico e di carico insulinico.
L’indice glicemico & il carico glicemico vs l’indice insulinico & il carico insulinico
Il termine indice glicemico (IG) è nato nel 1981 per la necessità di valutare la risposta glicidica dei soggetti diabetici agli alimenti e per aiutarli nella scelta degli stessi. Infatti, i diversi alimenti hanno un maggiore o minore contenuto di carboidrati che si rispecchia in un più alto o più basso valore di glicemia dopo la loro assunzione. In particolare, l’indice glicemico definisce con che velocità si verifica un innalzamento della glicemia dopo l’ingestione di un alimento che contenga un quantitativo fisso di carboidrati (di solito 50 g). Si misura valutando l’andamento di una curva a campana dopo 2 ore dal pasto.
Se l’indice glicemico serve a stimare la velocità di innalzamento dei valori della glicemia dovuto ad un alimento glucidico, il carico glicemico (CG) serve a stimare l’effettivo innalzamento dei livelli glicemici per una data porzione.
Erroneamente, con l’introduzione del concetto di IG, gli alimenti con un elevato valore di quest’ultimo vennero eliminati dalla dieta: venivano ritenuti responsabili dell’iperglicemia. In realtà non è sempre così, soprattutto se si considerano cibi glucidici (quindi composti da diversi macronutrienti tra cui anche i carboidrati) e non zuccheri al 100%.
Infatti alcuni alimenti con IG relativamente elevato non causano un impatto rilevante sulla glicemia se consumati in quantità moderate o basse oppure contengono una percentuale così bassa di carboidrati che anche in dosi modeste non riescono ad incrementare significativamente i livelli di zuccheri nel sangue. Ci si era dimenticati del concetto di proporzione: la glicemia si innalza in risposta ad un cibo glucidico quanto maggiore è la quantità di carboidrati di cui è composto, oltre che in base alla sua qualità.
Altri due concetti di relativamente recente utilizzo sono l’indice insulinico (II) ed il carico insulinico (CI).
Il primo misura la produzione di insulina nell’organismo in risposta all’ingestione di un qualsiasi alimento, stabilisce il diverso potere di sintesi di questo ormone da parte di alimenti con una stessa quota calorica. Tutti i macronutrienti impattano sull’insulinemia, i carboidrati del 90-100%, del 50% le proteine e del 10% i grassi: di questo l’indice glicemico non tiene conto.
Il carico insulinico misura i livelli dell’insulina ematica indotti da una specifica quantità dei cibi calorici in base al loro indice insulinico: fornisce quindi un riferimento quantitativo, non qualitativo, sulla secrezione insulinica in risposta ad un determinato cibo.
Valori e caratteristiche
L’indice glicemico
Fino a 40 l’indice glicemico è considerato molto basso, da 41 a 55 basso, da 56 a 59 moderato, se > 70 è considerato alto.
Ecco alcuni esempi per ogni categoria. Con un valore basso abbiamo le fragole, le pesche, la pasta di farina di grano al dente, la pasta integrale, l’avena; il valore medio comprende il miele, le patate bollite, il pane integrale, l’anguria. Ad alto valore il riso, la banana, la frutta essiccata, il pane bianco o pancarrè, i succhi di frutta.
Ma, ad eccezione dei carboidrati puri (es glucosio, fruttosio,..) che mantengono un IG stabile, i cibi che sono composti solo in parte da carboidrati, presentano una marcata variabilità dell’IG, dovuta a diversi fattori. Tra questi in particolare:
- se un frutto o un ortaggio sono presenti in varietà diverse, ognuna di loro avrà un suo IG;
- il grado di maturazione: più è maturo, maggiore è l’IG;
- il tipo di carboidrato presente nell’alimento e il rapporto tra glucidi diversi (per esempio il rapporto glucosio/fruttosio nel miele)
- il luogo ed il clima in cui è cresciuto il prodotto (per esempio le uve maturate al caldo sole del Sud Italia hanno un IG maggiore rispetto alle uve cresciute alle pendici delle Alpi);
- l’eventuale lavorazione della materia prima (per esempio i prodotti raffinati come la farina bianca rispetto alla farina integrale);
- il rapporto con gli altri macronutrienti (proteine e lipidi), oltre alla presenza di fibre, in particolare quelle solubili, modificano l’IG: la presenza di questi elementi rallenta la digestione della quota glicidica dell’alimento o del pasto, quindi l’assorbimento a livello intestinale sarà più lento, con un più lento innalzamento della glicemia;
- l’idratazione dell’alimento: più acqua c’è, minore è l’IG;
- i metodi ed i tempi di cottura: una carota cruda ha un IG minore rispetto a quella cotta; in un altro esempio, se la pasta cuoce di più ha un IG maggiore, così come masticando meno invece l’IG risulta minore;
- anche i pasti precedentemente assunti, sia come orario che come composizione, vanno ad influenzare l’IG;
- la variabilità individuale: ognuno risponde in maniera diversa ad uno stesso alimento.
Il carico glicemico
Per quanto riguarda il carico glicemico, fino a 10 è considerato basso, moderato tra 11 e 19, alto se >20: dato che questo valore dipende sia da quanti carboidrati ci sono nell’alimento, sia dal’indice glicemico dell’alimento stesso, possiamo avere delle uguaglianze tra prodotti diversi. Ad esempio, 250 grammi di patate bollite, 80 g di fagioli, 60 grammi di riso e 50 grammi di glucosio, presentano circa lo stesso contenuto di carboidrati.
La loro capacità glicemizzante dipende dal consumo di medesime quantità di carboidrati contenuti nei vari alimenti, non se si considera un medesimo peso netto degli alimenti. Infatti, sulla base del calcolo del carico glicemico, 100 g di patate bollite (alimento ad alto IG, ma con una bassa densità glucidica pari al 20 %), non alzano tanto la glicemia, mentre la stessa quantità di riso secco (alimento ad alto IG una volta cotto, con densità glucidica molto alta pari all’80 %) ha elevate proprietà iperglicemizzanti.
Per concludere
Negli anni, sono stati condotti numerosi studi scientifici per valutare gli effetti delle diete a basso indice glicemico, con risultati spesso discordanti.
Chi beneficia al massimo di questa tipologia di dieta sono i soggetti diabetici, che ovviamente devono considerare anche il carico glicemico: con le opportune accortezze, preferendo alimenti con un più basso IG, con un maggiore contenuto di fibre, mantenendo i corretti apporti di macronutrienti, sarà più facile raggiungere il target glicemico.
Scegliere un’alimentazione corretta ed equilibrata è la chiave per avere una vita sana: le giuste scelte alimentari sono alla base di uno stile di vita corretto e, di conseguenza, aiutano a prevenire l’insorgenza di diverse patologie.
Anche per le donne che soffrono di sindrome dell’ovaio policistico (PCOS), caratterizzata da insulino – resistenza ed incremento ponderale, la scelta di una dieta a basso IG può aiutare nel trattamento.
Optare per una dieta a basso indice glicemico aiuta a normalizzare i livelli ematici di glicemia, previene l’insulino – resistenza, mantiene un senso di sazietà più a lungo e aiuta a mantenersi energici più a lungo.
Un recente studio scientifico randomizzato, ha inoltre mostrato come, una dieta ad elevato contenuto proteico e con un indice glicemico ridotto, abbia migliorato l’intervento dietetico con riduzione del peso e mantenimento dello stesso, prevenendo quindi il recupero ponderale a cui molti soggetti vanno incontro.
Anche l’alimentazione degli sportivi può beneficiare di queste accortezze: a seconda del periodo di allenamento o di gara, il nostro corpo ha necessità diverse per garantire la migliore performance. Per esempio, per chi pratica sport di endurance, seguire una dieta a basso IG per almeno 3 settimane permette di migliorare la propria resistenza alla fatica.
Tips
Alcuni consigli per rendere semplice l’approccio a questi indici, non facili da interpretare: mangiare cibi ad elevato contenuto di fibre, come le verdure, la frutta secca, i semi; associare cibi ad elevato indice glicemico con una quota proteica e lipidica; scegliere le farine integrali al 100%; ridurre o evitare le farine bianche e raffinate, oltre che alcuni cibi come il riso bianco o il pane bianco, così come i dolci, le torte, le bevande zuccherine.
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