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Ma KE dieta è?! La Dieta Ketogenica: tra dubbi e “certezze”

Health Ricette

Qualche cenno storico

L’origine di tal regime alimentare non è recente. Infatti, la chetogenica non nasce come si potrebbe pensare allo scopo di velocizzare il calo ponderale. Essa risale agli anni ’20 del ‘900 ed è stata ideata dal Dottor Russel Wilder con l’obiettivo di trattare l’epilessia (soprattutto nelle sue forme resistenti ad altre terapie) nel paziente pediatrico. Così è stato per molti anni successivi alla sua introduzione fino alla scoperta dei suoi possibili utilizzi anche per ridurre il peso in brevi periodi di tempo, soprattutto nel soggetto sovrappeso o obeso.

Le caratteristiche nutrizionali

Il rapporto chetogenico

Sempre negli anni ‘20 il dott.Peterman introdusse il concetto di un rapporto tra i nutrienti specifico per questa dieta, detto appunto chetogenico. Tale rapporto è utilizzato ancora oggi, anche se negli anni sono state fatte alcune ipotesi di modifica per adattarlo a seconda delle esigenze.

Il presupposto risiede nel fatto che i massimi livelli di chetosi si inducono con circa 4 grammi di grassi per ogni grammo di proteine e carboidrati (rapporto 4:1).

La dieta chetogenica è caratterizzata quindi dalla presenza dei macronutrienti distribuiti come segue:
– Contenuto di grassi elevato
– Contenuto di carboidrati molto basso/minimo
– Contenuto proteico variabile, ma tendenzialmente medio-alto rispetto ad una dieta normobilanciata.

La composizione in %

Quanto visto si traduce in una suddivisione in percentuali caloriche giornaliere di circa 55-60%, 30-35%, 5-10%, rispettivamente per grassi, proteine e carboidrati. Si capisce subito che la quota calorica data dai carboidrati sia di molto inferiore a quella standard consigliata per un adulto sano (corrispondente a circa il 45-60% delle kcal totali giornaliere – LARN). Per tale motivo vi sono evidenti possibilità di rischi per la salute se condotta senza la supervisione di un professionista sanitario e di un medico.

Nei paragrafi successivi cercheremo di capirne meglio le sue basi e le sue indicazioni.

Parola d’ordine: sopravvivenza.

Cenni di fisiologia della chetosi

Le cellule del nostro corpo utilizzano primariamente gli zuccheri (o carboidrati) come substrato energetico, ad eccezione del tessuto cardiaco. Tale organo, infatti, a parità di concentrazione dei nutrienti predilige i grassi per il proprio metabolismo. Quando l’organismo va in deplezione di zucchero (soprattutto quando si scende a livelli di carboidrati  inferiori ai 30-50g/die) lo stimolo insulinico si riduce e si attivano gli ormoni della contro-regolazione (cortisolo, glucagone). Si instaura così uno stato catabolico. In tale situazione anche le riserve sistemiche accumulate sotto forma di glicogeno (muscolo, fegato) vengono mobilizzate e consumate rapidamente; si attivano pertanto dei processi di “sopravvivenza”: durante questa forte carenza energetica le nostre cellule tentano di produrre “carburante” prontamente disponibile attraverso altre vie metaboliche, utilizzando gli acidi grassi e le proteine disponibili.

Chetogenesi: cosa accade a livello biochimico?

Nelle restrizioni glucidiche importanti (o durante il digiuno prolungato di qualsiasi natura) il ciclo di Krebs, fondamentale per la produzione di energia, inizia a rallentare fino a bloccarsi. Infatti, a partire dal piruvato, derivante dal metabolismo degli amminoacidi (degradati come abbiamo visto per assicurare la disponibilità della quantità minima di glucosio ai tessuti più a rischio, quali soprattutto le cellule nervose e i globuli rossi), si forma nuovo glucosio attraverso la gluconeogenesi. Attivando tale processo anabolico però si crea uno sbilanciamento tra la quantità di piruvato e OAA (ossalacetato) utilizzati per la gluconeogenesi stessa e l’acetil-coenzima A (Acetil-CoA) che deriva dalla beta-ossidazione degli acidi grassi. Quest’ultimo metabolita risulta così in eccesso rispetto all’OAA e, anziché entrate nel ciclo di Krebs, viene deviato verso altre vie. È qui che entra in gioco la chetogenesi. Tale via metabolica avviene nei mitocondri degli epatociti e prevede l’utilizzo dell’acetil-CoA come substrato di base per la formazione di tre composti: acetoacetato, acetone e 3-idrossibutirrato. Fra questi l’acetoacetato rappresenta il metabolita principale, a sua volta scisso negli altri due. Una volta sintetizzati ed immessi in circolo, i corpi chetonici possono essere utilizzati dai tessuti periferici (come muscolo scheletrico e cardiaco) a scopo energetico. Una caratteristica importante da ricordare è che, a differenza degli acidi grassi, i corpi chetonici sono anche in grado di attraversare la BEE (barriera emato-encefalica) e sono, pertanto, utilizzabili anche dal sistema nervoso centrale (SNC). Infatti, dopo 3-4 giorni di restrizione dei carboidrati il SNC è costretto ad utilizzare fonti energetiche alternative e i corpi chetonici diventano indispensabili.

Chetogenesi: cosa accade nell’organismo?

Ipotesi sul calo ponderale

Vi sono varie ipotesi relativamente al calo ponderale indotto dalla chetosi. Inizialmente si pensava dipendesse principalmente dalla maggiore escrezione di energia attraverso l’eliminazione dei corpi chetonici (ipotesi di Atkins). Successivamente però è stato introdotto il concetto di “dispendiosità” legata al processo di chetosi stesso, soprattutto a partire dal catabolismo proteico.

In un lavoro condotto da alcuni ricercatori di Pavia sono state riassunte le principali ipotesi emerse in letteratura scientifica sui meccanismi legati alla perdita di peso indotta da tale tipologia di dieta:
1) Riduzione dell’appetito per l’elevato potere saziante delle proteine e controllo dell’appetito attraverso i corpi chetonici stessi.
2) Riduzione della lipogenesi per via della necessità di attivare la lipolisi a scopo anabolico
3) Aumentata efficienza nell’utilizzo dei grassi a scopo energetico (riduzione dei QR a riposo)
4) Aumento del “costo energetico” per sfruttare la gluconeogenesi e l’effetto termico delle proteine.
È interessante notare la differenza della chetonemia rilevabile in condizioni di dieta chetogenica e di chetoacidosi diabetica. Quest’ultima è una patologica molto pericolosa e potenzialmente fatale se non controllata, tipica del diabete di tipo 2 in fase scompensata. Durante la chetosi “para-fisiologica” la chetonemia raggiunge un picco massimale di 7-8 mmol/L senza alterazioni del pH (livelli peraltro non differenti da quelli dei soggetti sani); questo per via del buon utilizzo dei corpi chetonici da parte del sistema nervoso centrale che ne limita gli eccessi circolanti. Al contrario, nel diabete scompensato si ha una condizione di acidosi metabolica con riduzione del pH e livelli di chetoni sierici anche superiori ai 20 mmol/L.

Meccanismi di controllo fame/sazietà

Parlando dei meccanismi di controllo della fame/sazietà nel corso dei decenni passati sono state ipotizzate diverse teorie, in particolare relative al controllo ipotalamico: dalla “gluco-statica di Meyer”, alla “lipo-statica di Kennedy”, fino alla “amino-statica di Mellinkoff”. Tuttavia, negli anni sono state scoperte diverse altre aree del cervello e dell’ipotalamo che se ne occupano attraverso una regolazione di tipo neuroendocrina. Tra queste aree ricordiamo il nucleo arcuato (ARC), il nucleo paraventricolare (PVN) e il nucleo dorsomediale dell’ipotalamo (DMH), la cui azione si esplica tramite i complessi network cellulari dei neuroni POMC/CART (anoressizzanti, riducono la fame) e AgRP/NPY (oressizzanti, stimolano la fame). Assieme a queste vie entrano in gioco quelle a partenza gastro-intestinale (grelina, CCK, ecc), quelle derivanti dai depositi (es.Leptina) e quelle del Microbiota Intestinale (gut-brain axis). Per questo motivo la regolazione dell’appetito non si può considerare una mera questione di macronutrienti come molecole segnale.

Anche i corpi chetonici possono provocare una riduzione del senso di fame attraverso diverse di queste vie, sia con regolazione diretta (ad esempio tramite aumento degli acidi grassi intracellulari PUFA e long-chain) e sia attraverso modulazione neuroendocrina (grelina, PYY, CCK).

Le tipologie di dieta chetogenica (KD)

o Standard (SKD): caratterizzata da una quota di carboidrati esigua (circa il 10% delle kcal totali), una moderata quantità di proteine e una percentuale di grassi elevata (fino al 70%).
o Ciclica (CKD): si caratterizza per l’alternanza di periodi/giorni ad alto contenuto di carboidrati nella dieta rispetto al basale. Un esempio sono le tipiche “ciclizzazioni” dei carboidrati re-inseriti in quantità elevate nella dieta ogni 3-5 giorni di dieta chetogenica standard.
o Targeted (TKD): mirata a periodi di attività fisica intensa nei quali sono concesse quote caloriche aggiuntive date dai carboidrati.
o Ad elevato contenuto proteico (HPKD): in questo caso si innalza un pò la quota proteica che però non va a discapito dei grassi ma ulteriormente dei carboidrati, rimanendo quindi un regime HFD (ad alto contenuto di grassi). Questa forma assieme a quella standard sono le più utilizzate nel soggetto non sportivo/sportivo non agonista, mentre le forme cicliche sono di frequente riscontro soprattutto nei bodybuilder nei periodi pre-gara. Infatti tale strategia viene utilizzata per raggiungere una percentuale di massa grassa visibile molto bassa cercando di preservare i volumi muscolari ottenuti durante il periodo di maggior quota calorica.
A tal proposito, in uno studio su 24 soggetti sani sportivi è stato evidenziato che in coloro che hanno seguito una dieta chetogenica in associazione ad un programma di attività fisica di resistenza per 8 settimane vi sono stati effetti benefici in termini di perdita di massa grassa e di tessuto adiposo viscerale rispetto ai soggetti assegnati ad una dieta non chetogenica e al gruppo di controllo. Tuttavia, altri lavori hanno dimostrato possibili riduzioni della performance atletica, che in contesti amatoriali potrebbero essere poco rilevanti ma che in determinati sport e in contesti agonistici non possono essere presi alla leggera.

Quindi: KD buona o cattiva?

Per risponder a tale domanda bisogna sottolineare quanto il processo di chetosi sia tanto un processo salvavita dal punto di vista energetico quanto, e soprattutto, una spia di uno stato generale di allarme e di crisi per l’organismo, che in condizioni incontrollate può determinare conseguenze molto gravi. Vi sono diversi effetti collaterali che possono comparire durante una dieta chetogenica (anche se ben strutturata), sia in acuto (nei primi giorni di dieta) che successivamente. Tra questi vi sono ad esempio nausea, vomito, senso di astenia, crampi muscolari, cefalea.

Per questo motivo la chetogenesi a scopo dimagrante andrebbe utilizzata solamente per periodi di tempo brevi e sotto stretta sorveglianza medica, in modo da monitorare prontamente eventuali effetti collaterali. Infatti, la dieta chetogenica viene di solito eseguita per 2-3 settimane (tempo necessario ad indurre la chetosi), e spesso nel periodo antecedente ad un intervento di chirurgia bariatrica nel soggetto obeso. In alcuni casi però si arriva a follow-up anche più lunghi, fino a 6-12 mesi.

Parlando di efficacia, in diversi studi è emerso che ridurre la quota dei carboidrati determina una maggiore perdita di peso nei primi 3-6 mesi di dieta rispetto a diete più bilanciate o rispetto alla riduzione della quota lipidica. Inoltre, data la riduzione del grado di insulino-resistenza (per via della minore quota glucidica circolante nel sangue) si ha anche un impatto positivo sui profili glicemici. Tuttavia, nel lungo termine vi sono dati discordanti. Uno degli inconvenienti principali è quello di avere un effetto “yo-yo” (cioè di rimbalzo) sul peso corporeo perso troppo rapidamente. È stato invece dimostrato da uno studio su 89 soggetti obesi italiani che brevi periodi di dieta chetogenica non superiori ai 20 giorni alternati a periodi di dieta bilanciata (basata sul modello della Dieta Mediterranea) per 4-6 mesi dia risultati migliori sulla perdita di peso, sul suo mantenimento nel lungo termine e sui parametri metabolici.

Per concludere, la dieta chetogenica potrebbe dare benefici in alcune situazioni e nei casi di necessaria riduzione del peso in brevi periodi di tempo. Nonostante ciò essa non è indicata a priori per tutti per la sola condizione di sovrappeso/obesità e può essere controindicata in presenza di alcune patologie mediche come quelle a livello renale, cardiaco e/o endocrinologico. Ogni caso e ogni paziente va valutato in maniera approfondita prima di intraprendere un percorso di questo genere.

Si ribadisce, per concludere, la necessità di una prescrizione medica e l’importanza del monitoraggio stretto con analisi della funzionalità cardiaca, renale e dello stato metabolico generale del paziente durante regimi alimentari molto restrittivi e poco bilanciati come la dieta chetogenica.

 

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